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Caccia, salvaguardia dell'habitat e biodiversità

Posted on January 07, 2016 in Editoriali

Matteo Brogi: Caccia, salvaguardia dell'habitat e biodiversità

È facile condannare la caccia, far passare i cacciatori come il male assoluto da cui difendere la natura e il territorio. Gli attacchi che l'attività venatoria subisce, ormai da decenni, servono a creare un alibi, a placare le coscienze pelose di chi cerca un pretesto per dare una falsa soluzione a un problema grave, l'abuso dell'ambiente naturale e delle sue risorse. Noi, come cacciatori, siamo parte della soluzione del problema ma ne veniamo considerati paradossalmente una delle cause. Come cacciatori contribuiamo in vari modi alla salvaguardia dell'habitat e della biodiversità. Ce lo riconoscono anche alcune direttive europee, in primis la cosiddetta Direttiva uccelli, poi la Direttiva habitat, che includono la caccia tra le forme di uso sostenibile delle risorse naturali. Vogliamo allora discutere seriamente delle peggiori minacce alla conservazione dell'ambiente e delle risorse naturali? Certo, conta il bracconaggio che agisce al di fuori del contesto di un prelievo selettivo e sostenibile (per favore, non chiamiamo "cacciatori" i bracconieri, sono nel migliore dei casi dei ladri); conta il ritardo del mondo agricolo che trova convenienza nel porre in essere metodiche di coltivazione monoculturali, intensive, meccanizzate, con eccessivo utilizzo di chimica; conta l'inquinamento prodotto dall'industria, da un sistema economico che per alimentarsi non può che crescere e consumare; conta - in gran misura - l'uso dissennato delle risorse naturali e, soprattutto, quello che viene definito il "consumo" del suolo: la continua trasformazione della campagna in città, quel continuum di antropizzazione diffusa che caratterizza il nostro territorio. L'Italia ha un livello di consumo di suolo tra i più alti in Europa, nonostante caratteristiche orografiche molto peculiari che avrebbero dovuto scoraggiare, ad esempio, l'espansione urbana. Impermeabilizzazione del terreno da iper-cementificazione, erosione, desertificazione, compattazione, salinizzazione, diminuzione di materia organica sono le conseguenze che presentano il conto alla comunità. Ne sono una chiara testimonianza le frane e le alluvioni che un qualsiasi evento atmosferico di natura appena più che normale è in grado di provocare. Questo consumo ha conseguenze sociali, economiche, ambientali, di sicurezza. Il rapporto Il consumo di suolo in Italia di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ce lo conferma: “processi di diffusione, dispersione urbana e di frammentazione descrivono la tendenza in atto dagli anni ’90 e tuttora presente a consumare risorse e sottrarre qualità attraverso la creazione di centri urbani di dimensione medio-piccola all’esterno dei principali poli metropolitani, la crescita di zone di margine con insediamenti dispersi intorno ai centri, la saldatura di zone di insediamento a bassa densità in un continuum che annulla i limiti tra territorio urbano e rurale, la frammentazione del paesaggio e la mancanza di identità dei nuclei urbanizzati sparsi e senza coesione". L'evoluzione storica non è incoraggiante. Il consumo di suolo, dagli anni '50 al 2014, è cresciuto dal 2,7% al 7% del territorio. L'indagine condotta da Ispra, annualmente, fornisce un quadro accurato dell’intero territorio nazionale, un monitoraggio omogeneo di questo fenomeno complesso, permettendo di valutare il percorso verso l’obiettivo del futuro azzeramento del consumo netto di suolo, condiviso a livello europeo. Scopo della Direttiva habitat, tanto per tornare all'inizio di questo discorso, è "salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato". Non possiamo che condividere.

Matteo Brogi - Il Cacciatore moderno, novembre 2015


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